Museo Civico di Leonessa (Ri)   -   (+39) 0746-923212

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Tuesday, 31 October 2017 18:58

Macine

Macine casalinghe (macinélle).
Le macine manuali per il farro sono composte di due parti: la parte inferiore, fissa, e la superiore girevole. La parte inferiore, al centro, presenta un foro destinato ad alloggiare il perno di ferro attorno al quale avviene la rotazione della parte superiore. Il perno, in genere, è fissato alla macina mediante una colata di piombo. La macina superiore presenta anch’essa un foro centrale attraverso il quale si versava il grano, o il farro da macinare. La faccia interna della parte girevole della macina è munita di una staffa di ferro, forata al centro, destinata ad alloggiare il perno che sporge dalla parte fissa della macina. La staffa è fissata anch’essa mediante piombo. Dalla faccia esterna sporge il manico formato da un tondino di ferro che si eleva per circa 20 cm., a volte rivestito di tessuto in modo da agevolare la presa della mano. La pietra usata per le macinélle, in genere, è un conglomerato presente in natura sull’altopiano il quale, per via delle numerose intrusioni calcaree, presenta asperità che lo rendono adatto a servire da pietra da mola. Nelle macine più semplici, la parte fissa non presenta un bordo rilevato mentre, in altre, è presente un bordo all’interno del quale gira la parte superiore. In questo caso, il bordo presenta un’apertura che permette alla farina di cadere dalla macina sul piano di lavoro. Con questo tipo di macina, usata soprattutto per il farro, si ottenevano farine piuttosto grossolane destinate alla preparazione di zuppe. Un duplice passaggio nella macinélla permetteva di ottenere una farina più fina da usare per le polente.

Macina a mano da farro – macinélla (n. i. 88)

provenienza: Ocre (Leonessa)
materiale: macine di pietra e manico di ferro
descrizione: nella parte inferiore della macina, in un piolo di legno infilato a tenuta, era infisso il perno attorno al quale ruotava la macina superiore. Un tondino di ferro, assicurato alla macina mediante piombo colato, permetteva di azionarla
misure: h. tot. cm. 15,4; diam. cm. 40; foro interno: diam. cm. 6
stato di conservazione: discreto. Mancante delle staffe interne di ferro e dell’asse centrale
acquisizione: acquistato a Rino Lancianes

anno: 2005

bibliografia: Scheuermeier 1996, II: 186-187.   «Il grano da macinare viene versato con una mano nel foro praticato nel centro della mola superiore. La farina che cade tutt’intorno (…) viene raccolta con uno scopetto»

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Tuesday, 31 October 2017 18:36

I ventilabri

Il ventilabro (lu capistiru).
Il nome dialettale deriva dal latino capisterium il quale, a sua volta, deriva dal greco skaphistérion. A Leonessa, in alcune frazioni (le ville de sopra) lo chiamavano “scifu” (termine aquilano), in altre (le ville de sotto) “capistiru”. Per l’uso del ventilabro si preferiva aspettare le prime ore del giorno, oppure quelle prossime al tramonto, in modo di sfruttare la brezza la quale agevolava l’operazione di mondatura asportando la pula. Impugnando con entrambe le mani sui lati corti mani il ventilabro contenente i grani, con un abile gioco di polsi e braccia s’imprimeva un brusco movimento verso l’alto in modo che il vento avesse modo di asportare la pula. La bravura consisteva nel non disperdere il contenuto e nel saper raccogliere di nuovo i grani mondati che cadevano nel ventilabro. Per i ventilabri si usava tradizionalmente il legno di faggio: un detto locale recita: «Li capistiri se fau de fau: i capistiri si fanno di faggio (fa)».


Ventilabro – capistiru (n. i. 55)

provenienza: Ocre (Leonessa)
materiale: legno di faggio
descrizione: ventilabro monoxilo con sigla SM incisa due volte sul fondo all’interno. Pareti aggettanti verso il fondo
misure: cm. 76,3 x cm. 30,5; h, esterna cm. 5 h. interna cm. 3,7
stato di conservazione: buono
acquisizione: rinvenimento

anno: 2005

bibliografia: Scheuermeier 1996, I: 136 fig. d; 138.

 


Ventilabro – capistiru (n. i. 79)

provenienza: Leonessa
materiale: legno di faggio
descrizione: ventilabro monoxilo, pareti aggettanti verso il fondo
misure: l. cm. 73,5; lg. cm. 34,1 h. est. cm. 6,5
stato di conservazione: fessurato in antico in senso verticale, in prossimità di uno dei lati maggiori, conserva le grappe originali in filo di ferro
acquisizione: dono di Maria Zelli

anno: 2003

 


Ventilabro – capistiru (n. i. 84)

provenienza: Leonessa
materiale: legno di faggio
descrizione: ventilabro monoxilo, pareti aggettanti verso il fondo
misure: l. cm. 82,5; lg. cm. 35,6; h. est. cm. 7,5
stato di conservazione: buono
acquisizione: rinvenimento

anno: 2003

 


Ventilabro capistiru (n. i. 84)

provenienza: Villa Pulcini (Leonessa)
materiale: legno di faggio
descrizione: ventilabro monoxilo, pareti aggettanti verso il fondo, fessurato in antico in senso longitudinale sul fondo e riparato in antico con grappe in filo di ferro
misure: l. cm. 70; lg. cm. 29,8; h. esterna cm 4,5
stato di conservazione: discreto
acquisizione: dono di Gina e Luigi Pulcini

anno: 2011


Piccolo ventilabro – capistiriju (n. i. 89)

provenienza: Leonessa
materiale: legno di faggio
descrizione: ventilabro usato per mondare piccole quantità di cereali o legumi
misure: l. cm. 33; lg. cm. 19,5; h. est. cm. 4,7
stato di conservazione: fessurato in antico su uno dei lati, conserva le grappe originali di filo di ferro
acquisizione: dono di Maria Zelli

anno: 2003

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Tuesday, 31 October 2017 18:28

Mortaio e pestello da farro

Il mortaio (la pilòcca).
Esistevano morati di diverse dimensioni, da quelli per uso domestico, di dimensioni piccole o medie, a quelli per uso pubblico (come nell’esemplare della nostra collezione museale) di ragguardevoli dimensioni. Il mortaio, monoxilo, era scavato nel legno. Il corpo interno del mortaio aveva sezione cilindrica e, nella parte inferiore, era concavo. È interessante notare come il nome dialettale del mortaio da farro, “la pilòcca”, deriva direttamente dal nome latino di questo utensile: “pila”.


Mortaio da farro – pilòcca (n. i. 81)

provenienza: San Giovenale
materiale: legno di olmo
descrizione: mortaio monoxilo, nella parte superiore è scavata una cavità cilindrica che, in basso, termina con una concavità semisferica
misure: h. cm. 89; parte superiore: diam. cm. 60,5 e cm. 65 (esterni) apertura: diam. cm. 38 e cm. 37, prof. cm. 30,5
stato di conservazione: ottimo
acquisizione: dono degli eredi della famiglia Cardilli. Appartenuto al forno della famiglia costruito nel 1898

anno: 2013

bibliografia: Scheuermeier 1996, II: 178


Pestelli (pistiji).
Nel territorio leonessano esistevano due tipi di pestelli da farro: uno, più piccolo, a forma allungata di clessidra e uno più grande a corpo cilindrico desinente in due masse battenti di forma cilindrica. In questo secondo tipo di pestello, a volte, nella parte mediana era ricavata una depressione per permettere alle mani di maneggiare il pestello.


Pestello da farro pistiju (n. i. 226)

provenienza: Leonessa
materiale: legno di olmo
descrizione: pestello da farro con forma “a clessidra”, estremità con profilo troncoconico e parte battente arrotondata. Questo antico esemplare era in uso a Leonessa e si differenzia dal tipo più comune di pestello munito di due estremità cilindriche poste alle estremità del manico, anch’esso cilindrico
misure: l. cm. 60; diam. max. cm. 11 e 11,7; diam. min. (impugnatura) cm. 3,6
acquisizione: dono di Antonio Bonanni
stato di conservazione: buono

anno: 2014


Pestello da farro – pistiju (n. i. 243)

provenienza: Leonessa
materiale: legno
descrizione: pestello da farro munito di duplice testa battente
misure: h. cm. 114,5; manico : diam. max. cm. 7,5; teste: h. cm. 20, diam. max. cm. 13,5
acquisizione: dono di Gemmi Sielli
stato di conservazione: buono

anno: 2013

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Tuesday, 31 October 2017 18:24

Il farro

Il farro
L’uso di questo cereale, almeno fino agli anni Cinquanta del Novecento, era imprescindibile nell’alimentazione del ceto rurale di Leonessa. Le ricette che impiegano il farro, sotto forma di farina o di grano, sono poche ma tipiche.
L’uso del farro come cereale commestibile risale all’antichità remota. Nella storia di Roma, l’uso del grano incomincia a diffondersi tra le classi più ricche solo dal V sec. a. C. quando si cominciò a importare grano dall’Egitto.


Le fasi della lavorazione del farro
.
Prima di poter essere usato per l’alimentazione umana, il chicco deve essere liberato dal coriaceo tegumento che lo ricopre. Per far ciò, il farro veniva sottoposto a varie fasi di lavorazione: prima spulatura sommaria effettuata per mezzo di ventilabri; leggera tostatura nel forno; mondatura nell’apposito mortaio; spulatura finale mediante ventilabro; mondatura manuale per eliminare i residui. 

Spulatura.
Per la spulatura del farro si usavano i medesimi ventilabri (capistiri) usati per il grano. Lanciando in aria i semi contenuti nel ventilabro, il vento del mattino o della sera provvedeva ad asportare i residui e la pula incoerente.

Tostatura.
Per permettere di asportare il tegumento che ricopre il chicco, si usava spargere il farro sul piano caldo del forno, una volta cotto il pane, lasciando i semi fino a completo raffreddamento del forno. Questa operazione, previa alla pulitura al mortaio, era detta “‘ncrocchià lo farre”.

Mondatura al mortaio (la pilòcca).
Dopo essere stato leggermente tostato, allo scopo di liberare i chicchi dal tenace tegumento, il farro veniva pestato in un apposito mortaio di legno ripetendo un procedimento già usato nell’antichità. Una volta terminata la leggera tostatura cui il farro era sottoposto – in dialetto una volta “‘ncrocchiatu” – si passava alla pestatura nel mortaio per liberare i grani dal tenace tegumento (la cama) che li ricopre.

Seconda spulatura.
La seconda spulatura del farro, prima della tostatura e del mortaio, era eseguita mediante ventilabri. Allo stesso modo era ottenuta la spulatura finale del farro dopo essere stato tostato e pestato al mortaio.

Mondatura finale.
Per la mondatura finale, eseguita a mano, si usava un ventilabro più piccolo (capistiriju) spargendovi poco a poco i semi da mondare e separando con le dita le eventuali impurità. L’operazione era detta “capà’ lo farre”.

Macinazione del farro.
Date le quantità di consumo famigliare del farro, assai ridotte rispetto al consumo di grano e derivati, il farro non veniva portato al mulino ma macinato in casa mediante piccole macine di pietra azionate a mano.

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Tuesday, 31 October 2017 17:54

Taglierino e ferri per la pasta

Taglierino per pasta “alla chitarra”
Entrato nell’uso non prima degli anni Cinquanta, il taglierino per la pasta “alla chitarra” era considerato con sufficienza dalle massaie anziane le quali avevano acquisito l’abilità di tagliare la pasta in tagli, anche sottili, sorprendentemente uniformi.



Taglierino per pasta “alla chitarra”
(n. i. 169)

provenienza: Leonessa
materiale: telaio in legno di faggio, fili in acciaio
descrizione: il telaio è composto da due regoli a sezione quadrata desinenti in perni cilindrici passanti in due tavolette, tenuti fermi da due zeppe a una delle estremità. Assicurati mediante chiodi a entrambe le tavolette, una serie parallela di fili metallici serviva a tagliare la pasta in striscioline sottili
misure: h. cm. 43,5; lg. tot. cm. 28,5; telaio: lg. cm. 21,8, spess. regoli cm. 3 x cm. 3,2; tavolette: lg. cm.8,2, spess. cm.2,5
stato di conservazione: ottimo
acquisizione: dono di Silvana Pasquali

anno: 2013

 

Ferri da pasta.
Nelle occasioni festive, la massaia rurale preparava tagli speciali di pasta come, ad esempio, gli “sfusellati” ottenuti arrotolando una striscia di sfoglia attorno a un ferro di sezione quadrata di circa 5 cm. di larghezza. Si adoperavano appositi ferri da pasta o, in mancanza di questi, stecche di ferro di ombrelli rotti.

Ferro per preparare gli sfusellati (n. i. 173174-175)

provenienza: Leonessa
materiale: ferro
descrizione: ferro di sezione quadrata rastremato e appuntito a entrambe le estremità
misure: cm. 38,3 x mm. 4 x mm. 4 (max.)
misure: cm. 34,7 x mm. 5 x mm. 5 (max.)
misure: cm. 33 x mm. 3 x mm. 3
stato di conservazione: ottimo
acquisizione: dono di Silvana Pasquali

anno: 2013

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Tuesday, 31 October 2017 17:48

Il mattarello

Il matterello (lu stinnituru).
Attrezzo indispensabile, realizzato in legno di faggio o nel più pregiato legno di ciliegio, il matterello era uno dei primi strumenti che la bambina insegnava a maneggiare fin dall’età di sei o sette anni. La preparazione della pasta l’avrebbe tenuta occupata per tutta la vita.


Matterello
stinnituru (n. i. 86)

provenienza: Ocre (Leonessa)
materiale: legno di faggio
descrizione: corpo cilindrico munito di pomolo a un’estremità
misure: l. cm. 74,3; diam. cm. 3,2
stato di conservazione: ottimo
acquisizione: dono di Stefano Marchetti

anno: 2009

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Tuesday, 31 October 2017 17:43

La ramazza

La ramazza.
La ramazza tipica della casa rurale, consisteva in un lungo bastone alla cui estremità erano legati rami di saggina, o di altre piante dai rami tenaci (ad esempio il pungitopo) resistenti allo sfregamento. Le ramazze di paglia erano acquistate. Tra di esse, molto diffusa la cosiddetta “toscana” col manico ricoperto per tre quarti di paglia.

Oltre alle normali mansioni, la scopa svolgeva un ruolo apotropaico difendendo la casa, e in specie i neonati, dalle notturne incursioni delle temute streghe. A Natale, prima di recarsi alla messa di mezzanotte, si piazzava la scopa dietro la porta di casa: si credeva che la strega, per entrare a succhiare il sangue dei neonati dormienti, sarebbe stata costretta a contare ogni stelo dando modo ai parenti di tornare a casa poiché, per via della lunga operazione, avrebbe corso il rischio d’essere sorpresa dalla luce dell’alba e dal canto del gallo. In tal caso, perduto il sembiante animale, in genere di farfalla o gatta, da essa assunto, sarebbe rimasta nuda svelando la propria identità. A volte, accanto alla scopa si metteva una ciotola piena di sale, sabbia, o semi d’erba medica così che il conteggio risultasse assai più arduo.
Al vespro, dopo il suono dell’avemaria, per non allontanare la provvidenza e non costringere le “anime sante” dei famigliari defunti ad allontanarsi, si evitava di spazzar casa e gettar fuori della porta la spazzatura.
Quando qualcuno partiva per un viaggio, o per la transumanza, il giorno successivo alla partenza si evitava di spazzar casa per non rendergli difficile il ritorno.
Fino a quando il defunto restava in casa, era fatto divieto assoluto di spazzare per non costringere l’anima a lasciare anzitempo la casa. Appena era portato via per le esequie, uno dei congiunti spazzava con cura le stanze e ogni angolo per impedire all’anima di tornare indietro.


Ramazza “toscana” (n. i. 99)

provenienza: Ocre (Leonessa)
materiale: legno, paglia, vimini
descrizione: il manico, in legno di nocciolo, a un terzo della lunghezza dall’estremità superiore, è rivestito di saggina, tenuta ferma da legature di vimini. Nella parte terminale, la saggina si divide in tre ciuffi, legati da vimini, a formare la parte radente della ramazza
misure: l. tot. cm. 108; manico: diam. cm. 2; rivestimento del manico: diam. max. cm. 5,6
stato di conservazione: discreto
acquisizione: dono di Modesto Marchetti

anno: 2005

bibliografia: Scheuermeier 1996, II: foto 73 (da Pietralunga, Umbria). Sugli usi magici nel territorio leonessano: Polia-Chávez 2002


 

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Tuesday, 31 October 2017 17:34

L'illuminazione, lumini, lanterne, lampade

L'Illuminazione


I rami di ginepro
Quando la povertà era tanta, per rischiarare la zona prospiciente il focolare, si usava accendere fascetti di rami di ginepro che bruciavano dando una luce vivida e chiara. Nella confinante Valnerina abbiamo udito le anziane ricordare quando, nella loro fanciullezza, sedute accanto al focolare, eseguivano i compiti scolastici alla luce della fiamma del ginepro. In altre zone d’Italia si usavano, per l’illuminazione, rami di piante resinose, come il pino silvestre nelle zone alpine. Nel sud, in Calabria, fino all’introduzione della corrente elettrica, l’illuminazione con i rami di pino era molto diffusa (significativo il nome dialettale dèda derivato dal latino taeda, “albero resinoso”).

Candele e candelieri
Nella rigida autarchia d’un tempo, alla candela di cera si preferiva il più economico lumino ad olio. In certe occasioni, tuttavia, ad esempio per il culto ai defunti, si usavano candele di fabbricazione industriale.

Lucerne a olio
La lucerna ad olio tipica del contado leonessano, erede delle antiche lucerne romane e italiche, era di ferro, munita di un unico becco (monolychnē) e di un supporto girevole in tondino di ferro con un gancio all’estremità che permetteva di appendere e orientare la lucerna.

Lanterne a olio
Usate per essere trasportate, le lanterne erano destinate a proteggere, all’interno di una struttura munita di pareti di vetro, un lumino alimentato a olio. Le lanterne hanno uno sportellino apribile; un’apertura nella parte superiore destinata alla fuoriuscita del fumo, protetta da una sorta di piccola cupola in lamierino; un gancio in filo di ferro munito di un anello nella parte superiore, assicurato alla parte superiore della lanterna. All’interno, il lumino ad olio.


Lanterna ad olio. Lamierino di latta e vetro.
Alla base: cm. 13,5 x 13,5 h. cm. 25,5 (escluso il gancio). Ocre S. Paolo. Collezione privata



Lumino a olio contenuto nella lanterna di cui sopra. Ricavato dal fondo di un barattolo di latta saldato a stagno su una base in lamierino ritagliata da una latta di alici. Al centro, solidale a una piccola leva che apre e chiude il foro per il rifornimento dell’olio, il porta-stoppino. Nella parte inferiore, un linguella permette d’inserire il lumino in un apposito alloggiamento costituito da due fessure tagliate nella base della lanterna. Diametro lumino: cm. 6,5 h. cm. 2,7. Ocre S. Pietro.



Lampade a olio
Le lampade a olio erano rare, limitate soprattutto a lampade di piccole dimensioni usate a scopo votivo dinanzi alle immagini sacre. Vi è però da dire che il fioco calore di questi lumini permetteva, di notte, di rendere meno fitte le tenebre nella stanza da letto. Un tempo, quando nella stanza da letto dormiva un neonato, si evitava il buio completo per timore delle streghe le quali, metamorfosate in animali, potevano introdursi in casa per succhiare il sangue ai pargoli. Questa credenza era molto diffusa e intensi ricordi di quell’antico terrore riaffiorano spesso ancora oggi nella memoria dei più anziani.


Lumino ad olio da Leonessa. Corpo globulare in vetro munito di filettatura su cui è avvitato il porta-stoppino. Sul corpo, in rilievo, stella a cinque punte con inscritto un cerchio al centro del quale, in rilievo, una O. Misure: h. (compreso beccuccio del porta-stoppino) cm. 9 diam. max cm. 4,8; diam. int. del beccuccio mm. 4. Collezione privata.

 

Lampade a petrolio (lo lume).
Le tipologie delle lampade a petrolio usate nel contado, si riducono a due: lampade composte da un contenitore in vetro, in genere di forma cilindrica, sul quale si avvitava il porta-stoppino, usate come lampade fisse; lampade da trasporto con contenitore del petrolio in ferro, munite di manico.


Lampada a petrolio (n. i. 247)

provenienza: Leonessa
materiale: latta, vetro
descrizione: Marca: Iupiter. Questa lanterna era usata anche da appendere al carretto
misure: h. (manico compreso) cm. 39,3; diam. alla base cm. 15
acquisizione: dono
stato di conservazione: ottimo

anno: 2015


Lampade ad acetilene (“la scentilèna”).
Prima dell’introduzione dell’energia elettrica e anche dopo, là dove non esistevano impianti d’illuminazione, ad esempio nella stalla, si usavano lampade ad acetilene.



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Tuesday, 31 October 2017 17:31

Il Bugliolo

Il bugliolo
Al mattino, la massaia versava il contenuto dei vasi da notte nel bugliolo, quindi si recava nella stalla, o sull’aia per versarlo sul mucchio del letame. Nella rigida autarchia del tempo, nulla andava sprecato e il recupero dei rifiuti organici come fertilizzanti del terreno costituiva una pratica molto diffusa e lodevole.


Bugliolo (n. i. 206)

provenienza: San Vito (Leonessa)
materiale: ferro smaltato; manico in tondino di ferro; impugnatura in legno tornito
descrizione: il bugliolo si compone di due parti: il corpo di sezione tronco-conica e la parte superiore che s’incastra nel diametro del secchio, munita di tre aperture destinate a permettere il passaggio dei liquidi e a trattenere i solidi. Il bugliolo era usato come raccoglitore del contenuto dei vasi da notte. Nella parte inferiore compare, in tinta blu, il marchio: BASSANO sopra il marchio due leoni rampanti ai lati di un recipiente sormontato dalla sigla SV sotto il marchio: 24
misure: secchio: diam. sup. cm. 26, diam. inf. cm. 18,6; h. cm. 25 (senza parte superiore); parte superiore: diam. sup. cm. 26, h. cm. 6
acquisizione: dono di Maria Adelaide Di Persio
stato di conservazione: ottimo

anno: 2014

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Tuesday, 31 October 2017 17:24

Il lavabo e il vaso da notte

Il lavabo
Prima dell’uso della rete idrica che riforniva la casa, per la pulizia quotidiana di mani e viso si usava il lavabo. Il tradizionale lavabo presente nella stanza da letto consisteva in una bacinella poggiata in un supporto di ferro a tre zampe, sagomato e variamente ornato, in cui erano inseriti tre cerchi: quello superiore, il più grande, destinato ad accogliere la bacinella; un piccolo cerchio su cui era poggiato il piattino per la saponetta; un cerchio inferiore in cui era posta la brocca. Nei lavabi di maggior pregio, bacinella e brocca erano in ceramica dipinta. In quelli più poveri (ossia nella stragrande maggioranza) ci si accontentava del ferro smaltato.

Oltre ai lavabi sopra descritti, esistevano dei lavabi da donna consistenti in un tavolino col piano di marmo, munito di quattro gambe in tubolare di ferro, con specchio. Sotto il piano, un supporto girevole permetteva l’uso di una bacinella.


Lavabo lavamani (n. i. 113)

provenienza: Ocre (Leonessa)
materiale: ferro, tappi di finitura in legno tornito
descrizione: tripode in tubolare di ferro sagomato unito a tre cerchi: in basso, cerchio in tondino per la brocca dell’acqua sotto il quale, mantenuto da tre supporti in tondino, vi è un piatto in ferro per l’appoggio della brocca; cerchio in tondino per il piattino in ferro destinato a contenere il sapone, unito al tripode de tre volute in tondino in forma di S; cerchio per il bacile in tubolare. Al disopra del bacile, su due delle gambe del tripode è fissato un semicerchio in ferro tubolare per appendere gli asciugamani. Verniciato con vernice nera
misure: h. max. cm. 83,5; cerchio per la brocca: diam. cm. 19,5; cerchio per il piattino da sapone: diam. cm. 12; cerchio per la catinella: diam. cm. 35,8; apertura massima semicerchio porta-asciugamani: cm. 53,9; tubolare: diam. cm. 2,2, spess. mm. 3; tondino delle volute e del piatto porta-sapone: diam. mm. 9; tondino del piatto per la brocca: diam. mm. 14
stato di conservazione: buono
acquisizione: acquistato a Stefano Marchetti

anno: 2009

 

Brocca
Le brocche che corredavano il “lavamani” erano di ceramica o di ferro smaltato. Non mancavano brocche di ceramica decorate a motivi floreali.



Brocca da porta catino – brocca (n. i. 95)

provenienza: Ocre (Leonessa)
materiale: ferro smaltato
descrizione: brocca con manico. Sul fondo, in azzurro, il marchio LAINATE
misure: h. cm. 25,3 (al labbro); diam. max. cm. 16; diam. alla base cm. 10
stato di conservazione: ottimo
acquisizione: acquistata a Stefano Marchetti

anno: 2009

 

Bacinella
Anche le bacinelle, come le brocche, potevano essere di ceramica o di ferro smaltato e anche in questo caso, talvolta, il “lavamani” era dotato di bacinelle in ceramica dipinta.


Bacinella baccile (n. i. 165)

provenienza: Ocre (Leonessa)
materiale: ferro smaltato
descrizione: bacinella di fabbricazione industriale. Sul fondo esterno: INMI SERIE ORO 34
misure: diam. max. cm. 34,3; diam. alla base cm. 17; h. cm. 9.8
stato di conservazione: ottimo
acquisizione: acquistato a Stefano Marchetti

anno: 2009

Il vaso da notte (lu ‘rinale).
Utilissimo accessorio, specie nelle notti d’inverno quando per andare in bagno bisognava uscire sull’aia o recarsi nella stalla, il vaso da notte, soprattutto se dipinto o di forma più o meno aggraziata, era usato perfino come dono di nozze. Gli esemplari più antichi, in terracotta invetriata all’interno e parzialmente all’esterno, avevano corpo cilindrico.


Vaso da notte‘rinale (n. i. 187)

provenienza: Leonessa
materiale: ceramica invetriata
descrizione: vaso da notte degli inizi del Novecento, ceramica invetriata decorata a motivi floreali dipinti in turchino
misure: diam. alla bocca cm. 20,7; diam alla base cm. 13; h. cm. 13,2
stato di conservazione: ottimo
acquisizione: dono di Dino Maddalena

anno: 2013

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